Probabilmente moralmente legittime*

[Probably Morally Legitimate]

Manuela Bragagnolo Max Planck Institute for European Legal History, Frankfurt am Main bragagnolo@rg.mpg.de

Con questo lavoro Stefania Tutino propone un’interessante e ben documentata lettura storica del probabilismo della prima età moderna, collocato nel più ampio contesto della storia religiosa, intellettuale, culturale e politica dell’Europa della prima modernità.

Sviluppatosi nella seconda metà del XVI secolo il probabilismo rappresentò una significativa e controversa novità nella teologia morale cattolica. Come rendere moralmente legittime le decisioni quando non era possibile individuare con assoluta certezza la soluzione corretta? Secondo i teologi probabilisti si poteva legittimamente seguire una specifica linea di condotta se supportata da un’opinione probabile, anche se l’opinione contraria era fondata su argomenti più cogenti o su autorità più numerose e più forti. Legatosi intrinsecamente, dalla seconda metà del Seicento, alla Compagnia di Gesù e a un sistema morale lassista, il probabilismo fu al centro di una violenta propaganda. Tale battaglia polemica ne offuscò a lungo l’importanza dottrinale che il presente lavoro, sulla base dell’analisi di un vasto materiale a stampa e manoscritto, cerca di recuperare.

Lo spettro d’indagine è limitato alla prima fase, finora meno studiata, e copre un arco cronologico teso tra la metà Cinquecento e il decreto di condanna di Papa Innocenzo XI (1679). Secondo l’autrice il probabilismo non costituì meramente un giustificativo per una condotta morale eccessivamente permissiva. Si trattò piuttosto di uno strumento al quale i teologi ricorsero per far fronte ai cambiamenti e alle novità che attraversarono il mondo cattolico della prima età moderna, inglobandoli all’interno del sistema teologico e intellettuale cattolico. Se, da un lato tali novità avevano intaccato nel profondo il sistema epistemologico e teologico tradizionale, provocando una crescita esponenziale di vacillamenti e dubbi, il probabilismo rappresentò una via possibile per gestire l’incertezza come componente fondamentale del sapere e della condizione umana.

Il volume si compone di undici capitoli che seguono puntualmente, attraverso le fonti, l’itinerario del probabilismo dai primi sviluppi, legati alla straordinaria produzione intellettuale della Scuola di Salamanca, fino alla piena elaborazione ad opera dei Gesuiti del Collegio Romano. Originato nell’ambito dei dibattiti sulla confessione post tridentina, il probabilismo uscì presto dal confessionale, rivelandosi uno strumento intellettuale particolarmente plastico e utile negli ambiti più |diversi, dalle questioni matrimoniali alla dottrina economica. L’autrice si sofferma sull’ambiguità della reazione romana al probabilismo, dando conto della sospensione tra la condanna delle punte più estreme e il consapevole utilizzo di esso. Tre case studies, che illustrano efficacemente questa dinamica, chiudono il volume.

La storia del probabilismo partì dunque dalla Spagna e dai dibattiti sulla confessione post-tridentina. I probabilisti attinsero tuttavia a una ben più risalente tassonomia di concetti confluita nella manualistica per i confessori del primo Cinquecento, in cui le nozioni tomistiche di coscienza, fede e opinione, così come il concetto aristotelico di probabilità, ebbero un ruolo centrale. A questo ricco bagaglio concettuale, illustrato nel primo capitolo, si ricorse inizialmente per confortare la coscienza ›dubbiosa‹ e ›incerta‹ del penitente, attanagliata da incertezze e dubbi legati al grande sviluppo della confessione sacramentale.

Al cuore della genesi del probabilismo, analizzata nel secondo capitolo, l’autrice colloca la riflessione del canonista Martín de Azpilcueta e il teologo domenicano Bartolomé de Medina, entrambi a lungo attivi all’Università di Salamanca. Il primo, pur non essendo ascrivibile ai probabilisti stricto sensu, influenzò notevolmente le elaborazioni successive. Commentando il De Poenitentia di Graziano, identificò la questione dell’incertezza come cruciale, mettendo in discussione la posizione tradizionale che richiedeva di seguire sempre la posizione più sicura. Nell’ultimo capitolo del suo noto manuale per i confessori attinse, poi, agli strumenti del diritto canonico per confortare lo stato patologico della coscienza scrupolosa, fornendo una definizione di vera opinione (comune), su cui poter fondare, in caso di dubbio patologico, una condotta morale. Medina andò oltre, varcando, per così dire, la soglia del probabilismo. Nel suo commentario alla Summa tomista, in quello che diventerà il luogo classico per questo genere di riflessioni (Ia IIae, quaestio 19, art. 5 e 6, sulla coscienza erronea e corretta), permise di superare l’incertezza morale sulla base di un criterio di probabilità epistemologica: qualora un’opinione fosse supportata da argomenti solidi e dall’autorità di eruditi allora poteva essere considerata probabile e dunque legittimamente abbracciata, e questo anche se l’alternativa era più probabile.

Con il capitolo terzo l’autrice segue lo sviluppo del probabilismo al di fuori dei confini spagnoli e il suo fiorire presso il Collegio Romano. Illustra il delinearsi di un probabilismo gesuitico riconoscibile benché sfaccettato, legato a gruppi di teologi spagnoli che portarono a Roma le riflessioni di Navarro e Medina, discutendole e, talvolta, rielaborandole fino a piegarne il senso. L’autrice traccia questo percorso attraverso l’analisi delle note, manoscritte e a stampa, dei corsi dei teologi gesuiti (Gregorio de Valencia, Francisco Suarez e Gabriel Vasquez) che a partire dagli anni Settanta del Cinquecento insegnarono al Collegio Romano. Particolare attenzione è riservata ai commenti dedicati ai consueti passaggi della Ia IIae, di cui si mette bene in evidenza l’evoluzione.

I tre capitoli seguenti mostrano come il probabilismo divenne nella prima metà del XVII secolo uno strumento efficace per consentire al vecchio sistema di assorbire le novità. L’autrice esplora innanzitutto alcune delle applicazioni più significative di esso a questioni epistemologiche, intellettuali, culturali e politiche cruciali come la dottrina sul matrimonio (Thomas Sanchez), la dottrina economica (Leonardus Lessius), e l’insegnamento della teologia morale (Juan Azor) soffermandosi poi sul volgarizzamento del probabilismo per i confessori e i lettori meno dotti (Emmanuel Sa). All’analisi del probabilismo più maturo e radicale è dedicato quindi il capitolo quinto, nel quale l’autrice si occupa in particolare di Antonio Diana e Juan Caramuel y Lobkowitz, presso il quale la probabilità divenne lo strumento fondamentale a disposizione degli uomini per pensare, sapere e agire in un contesto di incertezza. L’autrice illustra dunque le intricate vicende legate alla correzione e alla proibizione, da parte della Curia romana, di due delle opere più influenti di Caramuel (Theologia moralis, 1652, e Apologema, 1663) e utilizza il lavoro dei censori romani per mostrare la profonda ambiguità della posizione della Curia rispetto al probabilismo. Se infatti da un lato aumentarono le pressioni politiche e polemiche contro la forma più radicale di probabilismo, ben espresse, ad esempio, dalle Lettere di Pascal, al contempo all’interno della Curia si comprese chiaramente il peso del probabilismo nella stabilità e nell’unità interna della teologia cattolica e del sistema istituzionale.

Nei due capitoli successivi l’autrice volge l’attenzione all’impatto delle polemiche del secondo Seicento sui dibattiti sul probabilismo. Oggetto di studio sono, in particolare, il caso del gesuita francese Honoré Fabri, collocato nel contesto delle battaglie politiche, ecclesiologiche e teologiche tra gesuiti e giansenisti, e le vicende legate alle |censure del cospicuo trattato manoscritto del gesuita italiano Alberto de Albertis, che coinvolsero l’autore e il suo censore in un lungo e complesso processo di riscrittura.

Presentando tre diversi case studies, gli ultimi tre capitoli del volume mostrano come il probabilismo fu utilizzato consapevolmente dalla Curia Romana che, pur condannandone le espressioni più radicali, ne utilizzò le intuizioni epistemologiche e ermeneutiche nel fronteggiare numerose difficili e incerte questioni. Una di queste riguardò il dilemma della natura teologica, giuridica e sociale dei matrimoni tra gli infedeli dell’Asia orientale, rispetto alla quale il probabilismo permise di ripensare, aggiornare e adattare a questi nuovi contesti, le nozioni riguardanti la natura del matrimonio come sacramento e come contratto. Ma il probabilismo giocò un ruolo di primo piano anche in relazione al prestito monetario, consentendo alla teologia cattolica di mantenere il tradizionale bando sull’usura, interagendo al contempo con una fiorente economia di mercato e con altre tradizioni religiose con visioni differenti sul denaro. Il probabilismo fu quindi applicato alla questione relativa alla legittimazione del battesimo dei feti abortiti, toccando il problema cruciale della definizione dell’inizio della vita. Se nuove teorie mediche e filosofiche misero radicalmente in discussione le teorie più tradizionali, i teologi probabilisti utilizzarono l’aumentata incertezza attorno alle origini della vita per avanzare nel dibattito teologico, non incontrando alcun ostacolo da parte della Curia Romana quando applicate a un problema, come quello della somministrazione del battesimo agli infanti, ancora parzialmente inesplorato.

Il decreto di Innocenzo XI non segnò la fine della storia del probabilismo che proseguì, tra slanci polemici, fino a Settecento inoltrato, trovando nell’equiprobabilismo di Alphonsus Maria de Liguori un efficace ›antidoto‹ (353). Fu tuttavia tra Cinque e Seicento, come mostra l’autrice in questo volume, che il probabilismo si delineò come uno strumento intellettuale plastico che permise di adattare la dottrina teologica cattolica all’incertezza di un mondo in continuo cambiamento, declinando in un modo peculiare i precoci e continui tentativi della teologia morale, intimamente legata al diritto canonico, che fin dai primi decenni del Cinquecento, specialmente dalle fila della Scuola di Salamanca, cercò, quasi in tempo reale, di interpretare, comprendere e dare una soluzione alle nuove questioni politiche, religiose, economiche e sociali provenienti da un mondo sempre più globale.

Notes

* Stefania Tutino, Uncertainty in Post-Reformation Catholicism. A History of Probabilism, Oxford: Oxford University Press 2018, 563 p., ISBN 978-0-19-069409-8