Un atto culturale*

[A Cultural Act]

Manuela Bragagnolo Max Planck Institute for European Legal History, Frankfurt am Main bragagnolo@rg.mpg.de

La più recente storiografia storico-giuridica ha mostrato una particolare attenzione per la categoria della cultural translation, impiegata al fine analizzare il fenomeno della circolazione transnazionale del sapere e delle idee giuridiche, delle norme e delle pratiche, e l’adattamento di tali idee, norme e pratiche in un nuovo contesto culturale.

Più che sulla traduzione e l’adattamento di idee e pratiche giuridiche a nuovi contesti – che pure, in parte, è presente – questo volume si concentra sulla traduzione del discorso giuridico, mirando ad arricchire con la prospettiva storica l’indagine delle peculiarità della traduzione giuridica, che ha tratto, negli ultimi decenni, particolare profitto dall’incontro della traduttologia con la scienza giuridica. L’enfasi è dunque posta sulla traduzione del discorso giuridico in senso ampio, e gli studi raccolti riflettono non soltanto sulle modalità, il significato e gli scopi della traduzione di testi normativi nella storia ma anche sul modo in cui i giuristi intesero e utilizzarono, di volta in volta, la traduzione giuridica. Una particolare attenzione è poi posta sullo stretto legame instauratosi, a partire dall’Ottocento, tra la traduzione e la nuova scienza della comparazione giuridica.

Il volume presenta i risultati del colloquio internazionale tenutosi presso l’Università Rennes 1, il 12 marzo 2015. Introdotto da una prefazione di |Francesco di Donato, si compone di dieci contributi, che illustrano alcune delle molteplici sfaccettature che la traduzione del discorso giuridico assunse nel tempo, mettendo in evidenza le questioni ricorrenti e le soluzioni proposte nei secoli (16).

Il volume mostra innanzitutto il modo in cui, in epoche distinte, alcuni grandi testi giuridici costituirono l’oggetto di una o più traduzioni, evidenziando i motivi, il significato e l’impatto di tali imprese intellettuali. Il contributo di Emmanuel Lazayrat (»Du latin au grec: le manuel du professeur Théophile [VIe siècle]«), analizza il caso della prima traduzione greca delle Istituzioni di Giustiniano, nota a partire dalla sua riscoperta cinquecentesca come Parafrasi di Teofilo. Mostra come la traduzione giuridica, declinata nel peculiare esercizio retorico della parafrasi, offrisse di fatto un metodo per chiarire e precisare il senso del testo d’origine, permettendo la comprensione di un diritto di origine latina in un impero cosmopolita e multilingue. Constanza López Lamerain (»Translating canon law into local reality: from Trent to Santiago de Chile«) affronta il tema della applicazione dell’universo normativo creato dal Concilio di Trento nei territori dell’Impero spagnolo d’oltremare corrispondenti al Regno del Chile, nel vicereame del Perù, mettendo in luce il modo in cui le peculiarità locali influirono sul processo di traduzione, adattando i canoni alle realtà periferiche. Hanaa Beldjerd (»La naissance d’une nouvelle culture juridique à travers la traduction: le cas de la Charte des Nations unies en arabe«) illustra poi le complesse dinamiche legate alla traduzione, in lingua araba, della cultura giuridica extraterritoriale espressa nella Carta delle Nazioni unite (1945). Il contributo mostra come la traduzione, realizzata soltanto nel 1973, assunse chiaramente i tratti di un ›atto culturale‹, volto a trasmettere la cultura giuridica internazionale nella lingua araba.

Il volume indaga quindi il rapporto tra la traduzione e il potere politico. Ahmed Djelida (»Roger II de Sicile à travers les traductions de ses diplômes«) analizza le differenti strategie di traduzione della regalità, attuate della cancelleria trilingue del re normanno Ruggero II. Attraverso l’analisi dei diplomi, rivolti nelle rispettive lingue ai diversi popoli (bizantini, latini e mussulmani) che componevano il suo regno, accostumati a diversi modi di esercizio del potere, l’autore mostra come la traduzione fu utilizzata consapevolmente come strumento di legittimazione del potere regio. Il contributo Jean-Philippe Hias (»La traduction humaniste des préceptes romains: l’antitribonianisme et la définition du pouvoir royal«) porta l’attenzione sull’uso politico della traduzione del diritto romano nella Francia attraversata dalle guerre di religione. Mostra come, sulla base dell’analisi storico-filologica di alcuni termini chiave sui quali in quegli anni si andava definendo la regalità, in particolare del termine ›placitum‹, François Hotman respinse l’interpretazione bizantina dei compilatori del Corpus iuris civilis – fondata su uno slittamento semantico dal latino al greco – al fine di promuovere il senso originale latino, espressione, quest’ultimo, di un modello monarchico anti-assolutista, che il giurista calvinista proietta sulla monarchia francese. Oscar Hernández Santiago (»Traduire constitutionnellement la réalité mexicaine. La constitution mixte dans les débats éditoriaux [1821–1824]«) ricostruisce il ruolo della traduzione nei dibattiti della stampa sulla miglior forma di governo per la giovane nazione messicana, mentre Alfonso Alibrandi (»Traduire hors des lignes. L’interdiction de l’interprétation de la loi et le pouvoir absolu aux XVIe et XVIIe siècles«) porta l’attenzione sulla questione dell’interpretazione autentica, analizzata nel peculiare contesto del diritto canonico nella fase post-tridentina e del diritto francese nel Seicento, come modo per sottrarre alle realtà particolari la possibilità di ›corrompere‹ le disposizioni normative.

Il libro si chiude con una sezione dedicata alla traduzione come strumento della dottrina giuridica. Yannick Falélavaki (»Traduire pour comparer. Les entreprises de traduction de la doctrine juridique française au XIXe siècle«) mette in evidenza il legame che si sviluppò in Francia, tra il 1815 e il 1869, tra traduzione e comparazione giuridica. Analizzando l’attività di un ristretto circolo di intellettuali che in quegli anni si aprì al mondo giuridico straniero, l’autore mostra come la traduzione divenne un’attività fondamentale non solo, come nel caso dei Cours de droit civil français di Aubry e Rau, per commentare la legge francese, ma anche per facilitare lo studio dei diritti stranieri, come mostra il caso del pioniere della comparazione giuridica Anthoine de Saint-Joseph. Allo stretto legame tra traduzione e comparazione giuridica è dedicato anche il contributo di Jean-Romain Ferrand-Hus (»Le rôle joué par Jules Bergson au sein de la doctrine française du milieu du XIXe siècle. Entre comparaison des droits nationaux et diffusion des discours juridiques étran|gers«) che analizza la figura di Jules Bergson e il suo ricco universo intellettuale, prestando particolare attenzione al metodo comparatista sul quale fondò non soltanto il suo sguardo critico sulla legislazione francese, ma anche il suo tentativo di sensibilizzare i giuristi francesi alla scienza elaborata dai giuristi tedeschi. Il contributo di Prune Decoux (»La visibilité du traducteur, de part et d’autre de l’Atlantique, sous la IIIe République«) sposta l’attenzione sulla figura del traduttore, ponendo l’accento sul ruolo di interprete che l’attività di un traduttore porta con sé. L’autrice mette in luce il contrasto tra la Francia della IIIa Repubblica, in cui i traduttori furono sostanzialmente invisibili, restando nell’anonimato a causa della grande diffidenza nei riguardi del loro operato, e gli Stati Uniti che, al contrario, ufficializzarono la funzione e lo statuto del traduttore accanto a quella dell’autore.

Il volume ha dunque il pregio di analizzare il fenomeno della traduzione del discorso giuridico lungo uno spettro cronologico molto ampio, e in relazione a testi normativi molto diversi tra loro. Osservata attraverso il ›prisma‹ della storia, la traduzione si mostra come attività ›inerente‹ alla scienza del diritto.

Notes

* Hugo Beuvant et al. (dir.), Les traductions du discours juridique. Perspectives historiques, préface de Francesco di Donato, Rennes: PUR 2018, 204 p., ISBN 978-2-7535-6511-1