Forme di proprietà nel tempo e nello spazio*

[Forms of Property in Time and Space]

Elisabetta Fiocchi Malaspina Faculty of Law, University of Zurich elisabetta.fiocchi@rwi.uzh.ch

Georgy Kantor, Tom Lambert e Hannah Skoda sono i curatori di un volume originale, interdisciplinare e complesso che coinvolge storici, antropologi, storici del diritto e del pensiero politico per interrogarsi sulla proprietà e sul possesso, nonché sulla loro interazione in un determinato contesto temporale, culturale, geografico e politico.

Il concetto di legalismo in relazione a diverse discipline umanistiche, sociali e anche categorie concettuali è il protagonista dell’Oxford Legalism Seminar presso il St. John’s College Research Center e dei diversi risultati delle ricerche che dal 2012 sono state pubblicate: basti solo pensare ai volumi Legalism: Anthropology and History (2012), Legalism: Community and Justice (2014); Legalism: Rules and Categories (2015).

Anche Legalism: Property and Ownership è il frutto dell’omonimo seminario organizzato nel 2016. Il dialogo interdisciplinare, che contraddistingue l’opera, consente di riflettere su come e in quali termini si possa definire la proprietà, le sue caratteristiche e le sue declinazioni: i diritti riguardanti la proprietà, i regimi di proprietà e anche i rapporti patrimoniali, attraverso la dicotomia tra essere proprietario e possedere.

La scelta dei temi trattati permette di comprendere e cristallizzare, nei suoi diversi momenti, il ruolo rivestito dalla proprietà e dal possesso: dalle province dell’Antica Roma, alle società medievali celtiche, alla Dubrovnik medievale, sino ad arrivare al tema del mare ed ai più recenti episodi di pirateria al largo delle coste somale.|

Gli interrogativi che vengono analizzati dai diversi autori riguardano specialmente le modalità con le quali la proprietà o i diritti di proprietà si siano intrecciati con le strutture sociali, etiche e anche economiche di un particolare contesto geografico e temporale o una determinata realtà sociale. I singoli contributi, da prospettive diverse, analizzano l’estensione e i limiti degli strumenti, delle teorie e della tradizione filosofica occidentale, per interpretare e spiegare la proprietà in società completamente diverse. Ciò comporta un’osservazione del rapporto che il legalismo instaura tra la proprietà individuale e gli interessi della comunità, ma anche delle modalità con le quali il legalismo contribuisca a risolvere problematiche che sorgono in caso di conflitti sulla proprietà stessa.

Le risposte che forniscono gli autori hanno come comune denominatore una ricerca precisa e puntuale basata sulla rilevanza logica e strutturale con la quale le norme sono state create, nonché sull’elaborazione di categorie riguardanti la proprietà: »Legalism, in its appeal to generalizing concepts and categories, its ability to convey meaning, its moral force, permits the expression of complex wranglings about what make property and ownership meaningful, justifiable, and sustainable« (26).

Con Georgy Kantor la disamina ha come oggetto il concetto di proprietà nelle province durante il periodo dell’Alto Impero Romano tra il 30 a.C. e il 284 d.C., in relazione alle nozioni di cittadinanza, comunità, autorità e governo imperiale. L’autore evidenzia come il concetto di dominium, che ha rivestito un’importanza centrale per la formazione del concetto di proprietà all’interno della storia del diritto europeo, non avesse la stessa rilevanza e lo stesso contenuto nelle province romane. Kantor osserva criticamente quanto la distinzione fosse spesso determinata dall’imposizione dell’autorità romana imperiale, dai diversi modi di concepire la misurazione della terra tra il suolo italico e le province, nonché dall’incidenza dei fattori politici e sociali, dello stato civile e delle condizioni del territorio stesso.

I termini proprietà e possesso, nel corso della storia, assumono un particolare significato quando associati alla schiavitù. A tal proposito, Hannah Skoda illustra la repubblica di Dubrovnik, Ragusa, nel XV secolo e come, all’interno di essa la posizione degli schiavi venisse regolarizzata attraverso statuti e contratti, nonostante la schiavitù fosse stata ufficialmente abolita nel 1416. Il concetto di persona intesa come proprietà è studiata attraverso documenti archivistici dai quali emergono veri e propri contratti di schiavitù, evidenziando le modalità con le quali avveniva la manomissione. Ciò con l’obiettivo di dimostrare quanto la schiavitù nella Dubrovnik medievale »was driven by moral, economic, and diplomatic prerogatives. All these layers of discourse had continually to deal with the contradictions and tensions produced by a clash of natural and positive law. In order to become property, slaves had to be conceived of both as people and as things« (259).

Il contributo di Matthew Erie si sviluppa invece intorno alla Cina del XX e XXI secolo esaminando come caso di studio i conflitti riguardanti la proprietà dal punto di vista antropologico. Il legalismo riguardo alla proprietà viene articolato in relazione al rapporto tra lo Stato e diverse realtà sociali, religiose e famigliari, per chiarire quanto gli attori sociali siano determinanti, ancor più dell’autorità statale, nella creazione e interpretazione di una proprietà che sopravviva anche oltre il concetto di proprietà stesso. Tra gli esempi affrontati, significativo è il caso della comunità cinese degli Hui, per la quale la concezione di proprietà si basa su precise regole famigliari e religiose che individuano la legge come qualcosa di immutabile.

Il fattore religioso e il suo ruolo nel definire e regolare, ma anche criticamente limitare, la proprietà sono al centro del saggio di Walter Rech, che prende in esame una rilevante corrente del pensiero politico islamico del XX secolo concentrandosi sulle teorie di Sayyid Qutb, di Hasan al-Banna e di Abd al-Razzaq al-Sanhuri. La proprietà è ricondotta non tanto alle categorie dell’assolutezza ed esclusività, ma come concetto delimitato da obblighi sociali di natura religiosa e subordinato all’interesse pubblico. Soffermandosi sulla relazione intercorrente tra proprietà privata e la giustizia sociale, emerge quanto quest’ultima abbia influito sulle scelte della finanza islamica e sui suoi effetti nella società contemporanea.

La religione e in particolare la relazione tra religione e giustizia è il principale tema di Judith Scheele, la quale prende in considerazione Abéché, situata nel Ciad orientale e la documentazione processuale del tribunale islamico (sharī‘ah court). La presenza continua e costante di fattori sociali, basati su relazioni famigliari, caratterizzano e determinano la proprietà. Essa diventa un concetto spesso difficilmente definibile, soggetto ad essere identificato attraverso i beni stessi e l’opinione |pubblica. La tensione tra diritto islamico e diritto consuetudinario permette di comprendere le molteplici sfaccettature che la proprietà assume ad Abéché: essa diviene sia diritto individuale, sia una situazione temporanea di possesso di un determinato bene, destinato ad essere trasferito.

I cosiddetti, »jurisdictional rights« vengono approfonditi da Tom Lambert, il quale si concentra sulla portata di questi diritti non solo per l’aspetto reddituale, ma anche per la funzione legale da essi esercitata in Inghilterra tra il 900 e il 1100. In questi anni, infatti, parallelamente ai grandi cambiamenti economici, amministrativi e giuridici, i diritti giurisdizionali emergevano come una forma di proprietà, radicandosi nella società fino a coinvolgere anche la feudalizzazione e la sua portata sociale e giuridica.

In questo processo di feudalizzazione nasceva »a property regime governing the performance of legal functions emerging not as a result of governmental weakness or the short-sighted generosity of kings, but in response to the aggressive extension and intensification of royal legal exactions« (147).

L’indagine di Thomas Charles-Edwards si snoda sulla proprietà e sul possesso nelle società celtiche medievali, nonché su come venivano trattate all’interno dei manuali giuridici utilizzati nell’Irlanda del VI e VIII secolo e nel Galles medievale (Welsch) del XII e XIII secolo. Vengono evidenziate analogie e differenze tra le due tradizioni giuridiche, evidenziando come nella società irlandese e gallese del tempo emergessero situazioni divergenti, dettate dalle diverse esigenze legate all’applicazione pratica nelle aree del diritto. Gli istituti analizzati sono in particolare legati al concetto di clientship, tipico dell’esperienza irlandese contrapposto a quello di priodolder caratteristico del Welsch, sino a comprendere le situazioni legate alla rivendicazione dei diritti sulla terra, ai beni immobili e mobili, al pegno e ad alcuni diritti, che possono rientrare nelle servitù, che scaturivano dall’uso e dalla proprietà dei mulini ad acqua.

L’acqua e soprattutto l’oceano sono i protagonisti del saggio di Jatin Dua, che affronta il tema della pirateria prendendo in esame gli attacchi pirateschi avvenuti al largo delle coste somale tra il 2007 e il 2012. Si calcola infatti che in quegli anni siano state prese in ostaggio centocinquanta navi e circa tremila membri del personale di equipaggio. Dua inizia investigando la pirateria come problema di ordine pubblico e internazionale, per poi sempre più evidenziare quanto tale fenomeno sia dettato dalla trasformazione dei pescatori in pirati, dalla relazione tra mare/oceano e risorse ittiche che si riflette in quella tra la terra e le risorse pastorali: »Maritime piracy […] is a story of land and sea, of the ocean as a space of profit and property and the scalar temporal movement from collecting ambergris to hijacking ships« (201).

La relazione tra le risorse ittiche e l’acqua è presente anche nel contributo di William Wheeler, la cui indagine si sposta sul lago di Aral in particolare sulle coste del Kazakistan.

Il lago, come noto, subì una drastica riduzione nel corso del Novecento, quando per favorire l’industria di cotone il governo sovietico costruì una rete di canali, deviando l’acqua dei due fiumi che alimentavano il lago. Il disastro ambientale ebbe notevoli ripercussioni sulla fauna ittica, sul commercio e sulla popolazione Uzbeka e Kazaka, che dovette rivedere la propria relazione con il territorio e il lago. In questo senso l’autore sottolinea come la costruzione del concetto di proprietà sia in continuo mutamento, intimamente legato al contesto geografico e sociale e, in questo caso, alla materialità e alla fruibilità delle risorse come il pesce.

Il dibattito sulla proprietà è caratterizzato da una pluralità di fattori che interagiscono l’uno con l’altro definendo e contraddistinguendo il concetto di legalismo a seconda del periodo temporale e spaziale considerato: l’etica, la politica e l’economia contribuiscono a determinare forma e autorità del legalismo rilevandone la sua specifica funzione all’interno di un ordinamento. Dinanzi alla difficoltà e anche al limite di poter definire in modo uniforme e omogeneo la proprietà, il legalismo rappresenta la modalità con cui essa riesce a interfacciarsi nei diversi contesti sociali, caratterizzandola e determinandola. Gli autori del volume riescono in questo senso efficacemente a fotografare ed esporre le tensioni e il discorso giuridico intorno alla proprietà e i modi attraverso cui il legalismo ha operato nel tempo e nello spazio per conferirne forma e struttura.

Notes

* Georgy Kantor, Tom Lambert, Hannah Skoda (eds.), Legalism: Property and Ownership, Oxford: Oxford University Press 2017, 320 p., ISBN 978-0-19-881341-5