Il neoliberalismo sorge sul finire degli anni Trenta del Novecento per impedire che dal fallimento del laissez faire derivi il superamento del capitalismo. Non ha certo condiviso l’idea secondo cui l’ordine politico deve immischiarsi nelle vicende dell’ordine economico, ma neppure ha sostenuto l’opposto: per i neoliberali i mercati sono istituzioni incapaci di affermarsi e di prosperare autonomamente. E se lo Stato non promuove attivamente il loro funzionamento, questi sono inesorabilmente condannati all’autofagia: non sono storicamente possibili.
Questa conclusione viene contestata soprattutto nel discorso pubblico, dove sono ancora ricorrenti coloro i quali reputano che il neoliberalismo si basi sulla credenza nella capacità dei mercati di autoregolarsi. Nella letteratura scientifica un simile assunto è invece da tempo efficacemente contestato,1 sicché non è questa la principale acquisizione dello studio di Thomas Biebricher. Lo stesso possiamo dire dell’individuazione delle coordinate politiche e culturali del neoliberalismo, a cui lo studio dedica ampio spazio, che evidentemente non rileva per il solo ordine economico: la ricerca in questo ambito è oramai consolidata.2
Il merito della ricerca di Biebricher è aver contestato la rappresentazione del neoliberalismo come fenomeno attraversato da profonde divisioni, tanto da mettere in forse la legittimità della categoria. Questa rappresentazione è invero diffusa, in particolare nella letteratura che esalta le differenze tra ordoliberalismo e Scuola austriaca, ovvero tra personalità come Friedrich Böhm, Walter Eucken e Alexander Rüstow da una parte, e Ludwig von Mises e Friedrich von Hayek dall’altra.3 La considerazione per lo sfondo politico e culturale del neoliberalismo aiuta però a comprendere come le differenze tra questi pensatori, a tratti rilevanti, riguardino a ben vedere gli aspetti quantitativi ma non anche qualitativi del fenomeno. Quelle differenze attengono invero all’individuazione delle misure che lo Stato deve di volta in volta adottare al fine di rendere il capitalismo storicamente possibile. Rispecchiano cioè il livello di ingerenza nell’ordine economico, che evidentemente dipende dal contesto in cui operano i pubblici poteri: non è definibile a priori attraverso un catalogo insensibile al trascorrere del tempo o alla collocazione spaziale dell’esperienza di volta in volta presa in considerazione. Tanto che von Hayek può commentare nel modo seguente l’uso di »economia sociale di mercato«, ovvero del nome scelto in Germania per indicare l’ordoliberalismo alla conclusione del secondo conflitto mondiale: »non mi piace questo uso, anche se grazie a esso alcuni amici tedeschi sembrano riusciti a rendere appetibile a circoli più ampi il tipo di ordine sociale che difendo«.4
Biebricher documenta la comune matrice delle diverse espressioni del neoliberalismo a partire dalle modalità scelte per mettere il mercato al riparo dalla democrazia: per spoliticizzarlo, ovvero per impedire che il conflitto redistributivo promuova forme di allocazione delle risorse alternative a quelle derivanti dal libero incontro di domanda e offerta. Di qui una definizione particolarmente felice di neoliberalismo come teoria e pratica concernete »la costrizione del mercato capitalista entro forme politiche autoritarie«.
A ben vedere il neoliberalismo non è ostile alla democrazia, bensì indifferente alle sue sorti. Quest’ultima ben può essere sacrificata se la sua compressione o al limite la sua cancellazione è funzionale a rendere il capitalismo storicamente |possibile. Questo si verifica però puntualmente, se non altro perché il presidio della concorrenza richiede di polverizzare le concentrazioni di potere economico cui si deve il conflitto redistributivo: è l’unico modo per condannare l’individuo a tenere i soli comportamenti descrivibili in termini di reazioni automatiche agli stimoli del mercato. Anche per questo l’equilibrio tra capitalismo e democrazia appare sommamente instabile, e in qualche modo relativo a una fase transitoria: verso la compressione dell’uno o dell’altra.
Insomma, se il neoliberalismo è intimamente incompatibile con la democrazia è perché mira a presidiare il capitalismo, o se si preferisce a liberare la forza attrattiva della normalità capitalistica. È cioè votato a tutelare il mercato come principale strumento di redistribuzione della ricchezza, e a neutralizzare qualsiasi deviazione da un simile schema in quanto inesorabilmente destinata a introdurre il superamento del capitalismo. Così facendo, si pone però come teoria e pratica votata al superamento della democrazia.
Queste precisazioni ci portano a valorizzare quanto Karl Polanyi aveva indicato essere l’essenza del fascismo: la soppressione delle libertà politiche realizzata al fine di riformare le libertà economiche.5 E in ultima analisi conducono a stabilire un nesso tra fascismo e neoliberalismo, peraltro evidente considerando le vicende che hanno accompagnato la nascita dell’ordoliberalismo sul finire degli anni Trenta del Novecento. Il tutto documentato da ricerche in cui si mette in luce la convergenza tra fascismo e volontà neoliberale di mettere il mercato al riparo dalla dittatura dei numeri alimentata dalla democrazia,6 così come l’attiva partecipazione di ordoliberali all’amministrazione dell’economia nazista.7
Biebricher menziona il nesso tra fascismo e neoliberalismo nel momento in cui allude al ruolo di primo piano rivestito in particolare da Friedman e dai cosiddetti Chicago boys nel regime instaurato in Cile da Augusto Pinochet. Nulla dice però a proposito dell’ordoliberalismo tedesco, che anzi viene rappresentato come ostile alla dittatura nazista.8 Perde così una buona occasione per stigmatizzare un costume diffuso nella letteratura tedesca, indisponibile a mettere in cattiva luce un mito fondativo della Repubblica federale come l’economia sociale di mercato. Anche se questa è stata concepita per riproporre sotto mentite spoglie l’ordoliberalismo compromesso con il nazismo, ovvero per far credere che la formula indichi la volontà di edificare una sorta di capitalismo dal volto umano, mentre intende semplicemente alludere alla circostanza per cui il mercato è un’istituzione sociale in quanto tale. Il tutto architettato da una personalità come Alfred Müller-Armack,9 un iscritto della prima ora al Partito nazista poi riciclatosi come stretto collaboratore di Ludwig Erhard.
Se non altro Biebricher evidenzia come il neoliberalismo in quanto fondamento dell’Unione europea abbia connotazioni autoritarie, evidenti nelle vicende che da alcuni anni caratterizzano i Paesi dell’Est e da ultimo nelle misure adottate per fronteggiare l’emergenza pandemica. Di qui la conferma di come l’autoritarismo non sia un elemento estraneo al neoliberalismo, e soprattutto di come non sia certo idoneo a introdurre un suo superamento, sebbene le voci di una fine imminente si succedano con regolare frequenza: tanto da autorizzare Biebricher a ironizzare sulla loro valenza di mero auspicio destinato a restare tale.
Certo i segnali di una crisi del neoliberalismo, o meglio dalla sua essenza di pratica bisognosa di nutrirsi di crisi e per questo inesorabilmente votata a provocarle, sono oramai innumerevoli e destinati o introdurre una sua parabola discendente. Il sospetto è però che questo avverrà nel lungo periodo, ovvero »quando saremo tutti morti«: come amava replicare Keynes a chi sosteneva che la mano invisibile avrebbe primo o poi messo ordine nel mercato.
* Thomas Biebricher, Die politische Theorie des Neoliberalismus, Berlin: Suhrkamp 2021, 346 p., ISBN 978-3-518-29926-5
1 Per tutti Quinn Slobodian, Globalists. The End of Empire and the Birth of Neoliberalism, Cambridge (MA)/London 2018.
2 Ad es. Raimondo Cubeddu, Atlante del liberalismo, Roma 1997.
3 Ad es. Philip Plickert, Wandlungen des Neoliberalismus. Eine Studie zu Entwicklung und Ausstrahlung der Mont Pèlerin Society, Stuttgart 2008.
4 Friedrich A. Hayek, Law Legislation and Liberty, vol. 2, Chicago/London 1976, 79, n. 26.
5 Karl Polanyi, The Great Transformation. The Political and Economic Origins of Our Time (1944), Boston Ma. 2001.
6 Alessandro Somma, La dittatura dello spread. Germania, Europa e crisi del debito, Roma 2014, 56ss.
7 Ralf Ptak, Vom Ordoliberalismus zur Sozialen Marktwirtschaft. Stationen des Neoliberalismus in Deutschland, Opladen 2004, 62ss.
8 Sulla scia di Michel Foucault, Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France (1978–1979), Milano 2004, 93ss.
9 Lo rivendica lui stesso: Alfred Müller-Armack, Voce »Soziale Marktwirtschaft«, in: Handwörterbuch der Sozialwissenschaften, vol. 9, Stuttgart 1956, 392.