Guardie, ladri e la giurisprudenza dell’anticipazione*

[Guards, Thieves and the Jurisprudence of Anticipation]

Matilde Cazzola Max-Planck-Institut für Rechtsgeschichte und Rechtstheorie, Frankfurt am Main cazzola@lhlt.mpg.de

La portata della trasformazione che investì la polizia in Inghilterra nel passaggio tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo è ormai un assunto per gli studiosi di questo tema: precedentemente incaricata della preservazione del buon ordine municipale e della promozione dell’operosità e del benessere collettivo, fu alla fine del Settecento, e soprattutto con Patrick Colquhoun, che la police venne riorganizzata in attività cautelativa e anticrimine volta alla prevenzione dei reati. Il recente libro di Sal Nicolazzo completa e complica questo quadro, retrodatando la funzione della polizia come »anticipazione preventiva della minaccia« (210) alla prima modernità. Proiettata sullo sfondo del mondo anglo-atlantico sei- e settecentesco ed esaminata a partire da un vasto apparato documentario che include testi di legge, sentenze giudiziarie, trattati di storia ed economia politica ma anche trafiletti di quotidiano e fonti letterarie, la polizia raccontata da Nicolazzo non si riduce a un corpo |professionale ma si configura come un campo governamentale specificamente orientato ad anticipare e impedire potenziali sfide alla pace e alla sicurezza della società come bacino di accumulazione di proprietà privata (3).

L’orientamento al futuro della polizia è determinato dal nesso costitutivo che Nicolazzo intravvede tra police e vagrancy. Categoria giuridica di difficile traduzione in italiano, la vagrancy venne impiegata fin dal Medioevo per criminalizzare un gruppo vastissimo e disomogeneo di »vagabondi«: i poveri e i mendicanti privi di residenza in una parrocchia, i »pigri« e i disoccupati, i disertori, i fuggitivi e i rivoltosi, ma anche le prostitute e gli intrattenitori itineranti, gli ubriachi, gli stranieri e gli impostori (finti disabili, nomadi che si alteravano il colore del volto, donne in abiti maschili); una pletora di figure »disordinate«, insomma, accomunate da un presunto rifiuto di lavorare e percepite come immeritevoli di carità e assistenza, potenzialmente parassitarie sulle finanze parrocchiali e minacciose per la buona tenuta delle gerarchie sessuali e razziali e le dinamiche economico-politiche del mercato su cui l’ordine della società si fondava. A colpire della vagrancy è soprattutto l’elasticità dei suoi contorni: non solo il »vagabondaggio« così inteso era una categoria deliberatamente vaga e perciò capiente, disponibile ad abbracciare nuove identità sociali emerse via via come problematiche, ma trattava anche i propri oggetti come delinquenti per azioni che erano sospettati di poter perpetrare come se le avessero già commesse; si trattava, pertanto, di una nozione penale fondata su crimini non già compiuti ma soltanto intuiti e addebitati in via preventiva, che le vagrancy laws mai precisavano chiaramente per lasciarsi aperta la possibilità di includere reati imprevisti (4, 12). Questi reati, a loro volta, venivano puniti fuori dal raggio delle consuetudini giuridiche e processuali, che le leggi contro il vagabondaggio consentivano di eludere conferendo alle autorità locali (giudici di pace, supervisori parrocchiali, guardie e agenti) il potere sommario di punire con reclusione o espulsione chiunque finisse per trovarsi incluso nei loro termini (18).

Dall’indeterminatezza del gruppo dei vagrants dipende l’ampiezza del raggio di discrezione dell’autorità incaricata di prevederne le azioni e contenerne i movimenti, ovvero la polizia (26). Mostrando come i vagabondi abbiano funto da pretesto per la costruzione di un apparato repressivo specificamente inventato per fronteggiarli, Nicolazzo scava nella »preistoria« della police prima della sua istituzionalizzazione ottocentesca in un corpo professionista e centralizzato portandone alla luce le origini indissolubilmente intrecciate alle vicissitudini della vagrancy, la quale, di converso, viene presentata come categoria dotata di senso soltanto se pensata come »un rapporto di polizia« (70, 122). Nel libro, la nascita primo-moderna della police come interna alla storia della vagrancy viene ricostruita attraverso un andirivieni continuo tra diritto e letteratura, che illustra come la narrativa sia stata storicamente usata a supporto e integrazione dei testi di legge e delle sentenze giudiziarie, e come di converso personaggi letterari abbiano offerto il modello a partire dal quale giuridificare soggetti sociali. Il libro mostra altresì come l’invenzione del problema sociale del vagabondaggio e la sua risposta giuridica, la polizia, siano precocemente fuoriuscite dai confini locali della parrocchia per essere messe al servizio della conquista dei territori coloniali, della tratta schiavista e dell’emergere di nuove forme di lavoro coatto nella cornice globale dell’Impero (3–5). »Figure vagabonde« erano destinati a diventare, infatti, anche i servi a contratto deportati nelle colonie e gli schiavi brutalizzati nelle piantagioni nel momento in cui fuggivano dai rispettivi padroni o disobbedivano ai loro ordini. Fu proprio la flessibilità e capienza del vagabondaggio come forma imposta di identità sociale, osserva Nicolazzo, a consentire alle leggi volte a criminalizzarlo di riprodursi sorprendentemente uguali a sé stesse attraverso il tempo del capitalismo e lo spazio dell’Impero (6).

I capitoli del libro assemblano una galleria di ritratti individuali, rappresentativi della diversificata resa letteraria del gruppo eterogeneo dei vagrants. Il primo capitolo si concentra sul romanzo picaresco tardo-secentesco, mettendolo in dialogo con le coeve norme a criminalizzazione dei »malviventi« (rogues) e con gli inizi del sistema di deportazione coatta dei poveri inglesi oltreoceano. Il secondo capitolo analizza la produzione letteraria del teorico settecentesco della polizia Henry Fielding per approfondire il nesso esistente tra la police e l’ordine domestico come fondamento dell’ordine della società, e mostra come il reato di vagrancy comprendesse anche il rifiuto delle gerarchie sessuali, la trasgressione dalle convenzioni di genere e una condizione di marginalità rispetto al regime produttivo e riproduttivo della famiglia patriarcale. Il capitolo 3 proietta la poesia romantica e il personaggio lirico del girovago campestre |sullo sfondo dello spazio metropolitano che fornì il laboratorio per l’organizzazione delle prime forze di polizia professionale: il contesto urbano e portuale di Londra, vulnerabile ai furti e ai disordini e perciò precoce teatro di pattugliamenti polizieschi volti a mettere in sicurezza la circolazione di ricchezza commerciale di cui la capitale era ormai diventata uno snodo di rilevanza globale.

Nella vagrancy urbana di Londra si trovavano inclusi anche quei black poor (lealisti afroamericani fuggiti dal Nordamerica rivoluzionario e lascars indiani impiegati sulle navi della East India Company) destinati a diventare loro malgrado l’oggetto dei piani filantropici di deportazione in Sierra Leone. Ciò introduce il tema attorno a cui ruotano gli ultimi due capitoli: la razzializzazione del vagabondaggio a scapito dei colonizzati e degli schiavizzati di origine africana. Il capitolo 4 esamina lo scollamento, nel Nordamerica coloniale e postcoloniale, tra la criminalizzazione della fuga da schiavitù e servitù e della resistenza dei nativi contro l’abbandono forzato dei propri territori da un lato, e la mitizzazione della vagrancy quando riportata all’interno della narrazione eccezionalistica della mobilità dei coloni bianchi attraverso la frontiera dall’altro. Il quinto e ultimo capitolo, infine, fa luce sulle radici atlantiche e coloniali della blackness come condizione di vulnerabilità all’imprevedibilità della violenza poliziesca concentrandosi sul racconto autobiografico di Olaudah Equiano, in balia – a dispetto del suo stato formale di libertà e dei suoi continui appelli alla protezione della legge – del processo di risemantizzazione della mobilità dei neri (schiavi e liberi) come vagrancy in quanto sfida all’ordine razzializzato dello schiavismo.

L’affascinante storia transatlantica della polizia che Nicolazzo ricostruisce con rigore documentario e un avvincente stile argomentativo insiste dunque sulle forze globali – capitalismo, colonialismo, schiavismo – che ne hanno determinato le trasformazioni nel solco del suo legame a filo doppio col vagabondaggio (248). Mentre ciascun capitolo valorizza singole soggettività letterarie, nel suo complesso il libro invita a non dimenticare come la giurisprudenza poliziesca della vagrancy abbia storicamente rinnegato tanto l’individuo quanto il soggetto di diritto, plasmando non una tassonomia precisa e definita quanto piuttosto un elenco collettivo, spersonalizzato e programmaticamente in espansione di »figure«, uomini e donne senza padrone resi oggetto non di studio e conoscenza, bensì di sospetto e anticipazione.

Notes

* Sal Nicolazzo, Vagrant Figures: Law, Literature, and the Origins of the Police, New Haven (CT): Yale University Press 2020, IX + 310 p., ISBN 978-0-300-24131-0