Teologia della restituzione nell’America spagnola*

[Theology of Restitution in Spanish America]

Vincenzo Lavenia University of Bologna vincenzo.lavenia@unibo.it

Il volume mette a disposizione dei lettori, in traduzione castigliana e nella versione originale in latino (Controversia de restitutione necessaria pro iniuriis et damnis in omnibus humanorum bonorum generibus), un testo inedito oggi conservato alla Biblioteca Nacional de Colombia come parte del manoscritto 95. Si tratta della traccia di un corso di teologia morale tenuto nel 1668 alla Universidad Javeriana Colonial da un gesuita, Martín de Eusa (1631–1693), che non ha lasciato una consistente produzione a stampa come altri padri della Compagnia a lui contemporanei. Trascritto dal maestro ausiliare di Eusa, Marcos del Campo, il corso non si segnala certo per la novità delle posizioni difese dall’autore, ma costituisce una preziosa fonte per la storia della filosofia e dell’insegnamento della teologia morale nelle Indie occidentali, che attende ancora una trattazione complessiva.

Infatti, se non mancano edizioni di testi e singole ricerche, nonché una storia della teologia in America Latina, in più volumi, curata da J.I. Saranyana e altri, sarebbe utile comprendere meglio e in modo critico fino a che punto il trapianto dei modelli di insegnamento della teologia cattolica pre- e post-tridentina nel mondo coloniale abbia costituito una semplice imitazione dei corsi universitari impartiti nel Vecchio Continente o se abbia invece affrontato materie più attinenti alle questioni di ortodossia e di ortoprassi, di etica e di casistica che investirono i fedeli e il clero nel Nuovo Mondo, nell’epoca della Seconda Scolastica e più avanti, quando trionfò la corrente probabilista. In ogni modo, i curatori forniscono informazioni non solo sulla biografia dell’autore, ma anche sulla storia della Universidad Javeriana, assai importante per il territorio del futuro vicereame di Nueva Granada, nata dal collegio gesuitico di Santafé (1604) e nel corso del Seicento riconosciuta come uno Studium abilitato, in concorrenza con quello domenicano, a rilasciare i titoli accademici sia dal papato sia dalla monarchia spagnola, anche nell’ambito della teologia. Inoltre nell’introduzione Carlos Arturo Arias spiega bene come si articolasse il metodo di insegnamento scolastico e lo schema di formazione previsto dalla Ratio studiorum adottata in tutti i collegi della Compagnia di Gesù alla fine del XVI secolo. Secondo quel piano di studi, se la filosofia veniva impartita nella facoltà delle Arti, il corso di teologia doveva snodarsi in quattro anni, e già nel primo prevedere lezioni sulla teologia morale e sulle materie de iustitia et iure, senza contare altri insegnamenti di casistica e di teologia ›economica‹ previsti negli anni seguenti. Testo di partenza era ovviamente la Summa di Tommaso d’Aquino, che veniva commentata secondo i modelli inventati nel Collegio Romano da Juan Azor alla fine del Cinquecento.

Come sappiamo, i numerosi trattati de iustitia et iure e i corsi di teologia morale, non solo gesuitici, traevano ispirazione soprattutto dalle pagine della Secundae Secundae, dove la materia della giustizia e dell’obbligo morale di restituzione era affrontata nelle questioni 58–62. Anche il corso di Eusa parte da quelle pagine, avendo tuttavia alle spalle oltre un secolo di trattati e di commenti dedicati in modo specifico all’argomento: da quelli del frate minore Juan de Medina e del frate predicatore Domingo de Soto a quello di Pedro de Navarra, senza contare le opere dei gesuiti Luis de Molina, Lenaert Lessius e Juan de Lugo (1642), quest’ultimo, secondo Arias, la fonte principale su cui si basò il corso di Eusa.

Ma la riflessione sul precetto della restitutio – è bene ricordarlo – aveva alle spalle una storia ben più lunga, che risaliva a un episodio evangelico (quello del pubblicano Zaccheo che si pente e restituisce i beni che ha frodato in Lc, 19,2–10) e ad altri passi della Scrittura, come Dt 22,28–29, dove si sanziona lo stuprum (o deflorazione di una vergine), obbligando il colpevole a riparare sposan|do la vittima e risarcendo la famiglia per il danno inflitto al ›capitale sociale‹ dell’onore. Più tardi Agostino nell’epistola 153 formalizzò il precetto non remittetur peccatum nisi restituatur ablatum (confluito nel Decretum) e dopo il XIII secolo quel dovere morale venne analizzato da quanti si occuparono della confessione auricolare e dei peccati. La restitutio, in sostanza, fu definita come un actus commutativae iustitiae che estendeva al foro esterno, ai singoli e alla comunità i benefici derivanti dal perdono e della soddisfazione sacramentale prevista nel foro interno per un danno originato da alcune specie di peccato o crimine. Così, sin dal tardo medioevo, quando nei manuali per i confessori e nei corsi di teologia si trattava della restituzione, si finì per affrontare soprattutto materie economiche come i guadagni illeciti derivanti dalla simonia, dall’usura, dai cambi, dagli investimenti sul debito pubblico, da contratti di dubbia liceità, dal gioco d’azzardo, dal contrabbando e dalla frode dei tributi.

Inoltre, a partire dal Quattrocento e soprattutto dal Cinquecento, l’evoluzione dei contratti economici, la crescita della fiscalità statuale e gli scambi mondiali (non ultimo quello degli schiavi) che videro coinvolti gli imperi iberici alimentarono la dottrina teologico-giuridica sulla restitutio, che si estendeva su materie come la riparazione di un danno fisico o della buona reputazione (la restitutio famae, che meritò un intero trattato stilato dal frate Antonio de Córdoba nel 1553). Quando occorreva risarcire la persona o l’istituzione danneggiata, con quali strumenti, in che misura? E quando si incorreva nel peccato non assolvendo al precetto di restituire o riparare un danno? Occuparsi di restituzione, a partire dal XVI secolo, significò affrontare materie come quella del dominium, del giusto prezzo, del vincolo in coscienza della legge umana positiva, anche se con il tempo la teologia morale rinunciò a intervenire sulle materie di foro esterno (come i doveri fiscali) per concentrarsi sul tema del peccato.

Si può considerare Eusa come un vero e proprio autore, si chiede Arias nella sua introduzione? O si tratta semplicemente di un mero epitomatore di opinioni riprese da altri e più illustri teologi? La risposta è che si tratta dello schema di un corso universitario di teologia morale come tanti ne esistettero. Divisa in sette dispute, la Controversia definiva l’argomento della restituzione (1) e poi affrontava in modo ordinato le questioni derivanti dai danni spirituali (2), da quelli corporali (3), dall’omicidio (4), dallo stuprum (5), dall’adulterio (6) e dalla violazione dei beni materiali altrui (7). Di particolare interesse è la terza disputa, dove si discute pure del suicidio, della liceità di uccidere la donna adultera, della strage di innocenti nel corso di operazioni di guerra e dell’aborto procurato per salvare una partoriente in pericolo di vita. Si tratta di materie in cui Eusa non si limitò a riprendere Lugo (la cui opera risaliva al 1642), ma aggiornò la discussione fino a riportare il dibattito recente sul momento dell’animazione dei feti e i primi pronunciamenti ufficiali del Sant’Uffizio romano contro il cosiddetto ›lassismo‹ (1665). Il testo si interrompe alla disputa settima, che avrebbe dovuto trattare del furto e dei beni ingiustamente posseduti, ed è un peccato, se si pensa che un secolo prima, sfruttando il precetto della restitutio, fray Bartolomé de las Casas aveva provato a costringere gli encomenderos in punto di morte a restituire i beni ingiustamente sottratti ai fedeli indigeni per guadagnare il paradiso e compire un’operazione di giustizia. Ma il testo di Eusa non mostra alcuna sensibilità per le questioni più spinose che toccavano la vita morale e la giustizia nei domini spagnoli del Nuovo Mondo. La Controversia è un testo scolastico che suscita interesse proprio in quanto opera di ricompilazione.

Pochi appunti si possono muovere ai curatori del volume, per esempio il fatto che la parola restitutio venga tradotta a volte con il lemma restitución e più spesso con quello di reparación, che attenua la connotazione teologica presente nel termine latino. Ma forse basterà concludere dicendo che per collocare storicamente il problema affrontato l’edizione del testo avrebbe guadagnato dal confronto con i rilevanti studi di Paolo Prodi, Wim Decock, Daniel Schwartz, Jean-Pascal Gay, Nicole Reinhardt, Ruth Hill, David M. Lantigua, solo per citare alcuni dei migliori interpreti della teologia economica e morale cattolica della prima epoca moderna.

Notes

* Martín de Eusa, Controversia sobre la obligación de reparar las injusticias y los daños causados contra cualquier clase de bienes humanos. Estudio introductorio de Carlos Arturo Arias, transcripción de Erika Tanács, traducción de Fernando Muñoz, Manuel Domínguez Miranda y Carlos Arturo Arias (Biblioteca Virtual del Pensamiento Filosófico en Colombia), Bogotá: Pontificia Universidad Javeriana 2020, 264 p., ISBN 978-958-781-461-3